(a cura di Antonio Mastrogiacomo)
Ogni volta che si sente parlare di Sicilia è quasi scontato si faccia riferimento alla dimensione turistica, vero attore culturale e attrattore sociale per ondate di forestieri ben disposti a lasciarsi incantare dalla bellezza paesaggistica soprattutto, riscontrando altresì particolari vantaggi in relazione ai servizi erogati e, come dimentircarlo, a un’offerta enogastronomica evidentemente alla portata di tutti.
Quando si mira alla bellezza di questi luoghi, non si può trascurare il nostro impegno nella preservazione degli stessi, in grado di superare la sfida dei secoli come gran parte delle invenzioni del moderno sembra aver dimenticato. Molto importanti diventano allora alcuni servizi la cui presenza resta volano all’economia di questi territori: valga sugli altri la funzionalità di aeroporti a misura di orde di turisti pronti a sbarcare, impavidi nella loro mise: calzino bianco e ciabatte ai piedi.
La città etnea deve aver costruito su questa condizione gran parte della sua vocazione turistica, ben spesa intorno alle strade che delimitano il centro storico per essere progressivamente sospesa man mano che ci si allontana dal centro della città.
Non tocca a noi di grecoelatino additare a riguardo eventuali soluzioni, piuttosto condurvi con più coscienza nei pressi di Piazza Stesicoro, ad oggi una delle principali e frequentate piazze catanesi, nel cuore del centro storico, in prossimità dell’antico mercato cittadino. Molto importante resta la sua posizione, a delimitare lo snodo urbano formato da due importanti arterie viarie quali corso Sicilia e, soprattutto, via Etnea. La piazza prende il nome da un antico poeta greco siceliota, Stesicoro, le cui spoglie sono conservate nella città di Catania; e sarà proprio arrivato il momento di ricordarlo, questo Stesicoro, emigrato in città anche lui, non per turismo: nato a Imera (tra Cefalù e Termini Imerese) o a Metauro (Locri di Calabria) verso il 638 a.C., sarebbe morto proprio a Catania verso il 555 a.C..
Udite udite: fu l’inventore della poesia corale. Ma non è finita qui: contemporaneo di Alceo e di Saffo, come già nel caso di Platone (all’anagrafe, Aristocle), anche Stesicoro è un soprannome la cui traduzione indicherebbe il suo essere ordinatore di cori.
La sua produzione fu abbondante: 26 libri di inni, poemetti epico-lirici e canti amorosi; fra questi la Caduta di Troia, la Orestea (l’uccisione di Agamennone da parte della moglie Clitemnestra e l’uccisione, per vendetta, di Clitemnestra da parte del figlio Oreste), tre poemi sulle fatiche di Ercole.
Fu chiamato l’Omero della lirica corale; gli si attribuisce un’importante innovazione metrica, consistente nel dividere i componimenti lirici corali nei raggruppamenti di strofe, antistrofe ed epodo, che tutti i poeti melici corali adottarono poi, un’invenzione non da poco, ancora particolarmente avvertita da chi compone musica.
Scappato da Imera si rifugiò, per molti degli ultimi anni della sua vita, a Catania dove gli abitanti fecero erigere in suo onore un monumento all’ingresso della città, allora costituito dalla porta di Aci, all’incirca dov’è anche oggi la porta di Aci, ossia Piazza Stesicoro.
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