Lo ripetiamo spesso, ci tocca fare riferimento a una tradizione pressoché interamente scritta, sprovvisti come siamo di esperienze di vita quotidiana documentabili a mezzo audio se non audiovisivo.
Ci restano certo testimonianze, eppure davvero non siamo in grado di accedere alla storia di tutti i giorni, fatta di saluti e imprecazioni non meno che di antichità e bellezza.
Proprio per questo motivo, abbiamo deciso di indagare quali potessero essere le formule di saluto tra greco e latino al fine di riconsiderare altresì le nostre pratiche odierne.
Di rimando all’antichità classica, partiamo come al solito dai Greci, soliti salutarsi scambiandosi una parola di buon augurio (χαῖρε “sii lieto”, o un’espressione simile; nelle lettere spesso ἔρρωσο “sta’ sano”) considerando infatti d’uso contrario a un popolo libero l’inchinarsi come facevano gli Egiziani e i Persiani.
A dirla tutta, di solito i Greci si salutavano a distanza fino al segno più intimo di amicizia, lo stringersi la mano, ancora oggi molto praticato, non solo in Grecia.
Anche il saluto romano è un augurio: Have! “Dio ti salvi!” (nella tradizione è prevalsa la grafia men corretta Ave); Vale! “sta sano!”.
Un utilizzo praticato ancora oggi, vuoi nella preghiera, vuoi altri popoli – come quello spagnolo.
Partiamo col ricordare comunque che raramente un popolo ha dato al saluto l’importanza che esso aveva per i Romani – non deve stupire dunque il ripristino di questa pratica durante il ventennio fascista.
I ricchi signori, che erano sempre attorniati da una folla di clienti, volevano che questi si presentassero tutte le mattine a fare il loro saluto al patrono (salutatio matutina), di solito con le parole: Have, domine, Have, rex.
Gli alti magistrati erano parimenti salutati dai cittadini più ragguardevoli. Mancare abitualmente all’obbligo del saluto mattutino era considerata scortesia e intollerabile indipendenza.
Anche per la strada il minore doveva essere il primo a salutare il più autorevole; solo quando un cittadino aveva presentato la sua candidatura al consolato o ad altro alto ufficio pubblico, cercava, senza tante distinzioni, di salutare quanta più gente poteva.
E poiché il saluto era rivolto con un vocativo, gli uomini autorevoli si facevano accompagnare da uno schiavo (nomenclator), che suggerisse loro il nome della persona incontrata.
Anche a Roma la forma più comune di saluto nel mondo classico, usata peraltro, più che nella vita giornaliera, negl’incontri o nei distacchi di grande importanza, era la stretta di mano: la vediamo rappresentata nei monumenti figurati, e soprattutto nelle stele sepolcrali.
Molto in uso era anche il bacio, derivato dall’Oriente e o dato effettivamente o inviato con un gesto della mano. Atto di omaggio più che di saluto, da parte dei soldati al generale, era il bacio della mano o delle ginocchia, mentre il saluto militare vero e proprio sembra fosse dato portando la mano destra alla testa.
Il saluto fatto alzando e protendendo il braccio destro, pur avendo in origine valore di adorazione, fu usato come saluto in età romana verso persone cui era dovuta reverenza: ce ne parlano le fonti (Svetonio, Marziale, ecc.) e ce ne danno testimonianza alcuni monumenti.
Tra questi possiamo ricordare un rilievo di Treviri in cui si vede un bambino che saluta il maestro, e uno dei rilievi dei plutei traianei del Foro romano, ove si vedono personaggi col braccio alzato in atto di salutare l’imperatore.
Insomma, salutare era una pratica realmente importante, degna di particolare attenzione, al momento in corso di rimozione grazie a saluti sempre più testuali, come le catene di buongiornissimo kaffè in grado di accompagnare il risveglio d’un numero imprecisato di gruppi whatsapp!
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