(a cura di Antonio Mastrogiacomo docente)
Mi sono formato sui testi del prof. Maurizio Bettini al tempo degli studi in lettere classiche, con particolare riguardo ai suoi percorsi nella letteratura latina.
Dieci anni dopo mi trovo tra la mani un suo libro, Voci. Antropologia sonora del mondo antico, e sono contento di avere al tempo preferito i suoi percorsi ad altri di pari autorità, eppure meno complici nei miei stessi interessi.
Lo studio dell’antropologia sonora del mondo antico rappresenta un’occasione utile per colmare il divario solitamente ascritto ad una cultura per lo più leggibile come quella greca e latina. Eppure certi suoni son rimasti ancora, come quelle voci degli animali attraverso cui a più riprese il docente alto atesino di stanza all’università di Siena costruisce il suo catalogo, in aperto accordo ad una prospettiva cara a chi ricerca nel campo della lessicografia da un lato, della musica concreta dall’altro. Questo lavoro si insedia nella prossimità degli studi etno-musicologici se accordiamo loro una vocazione fortemente antropologica a sua volta sedimentata nel linguaggio, quello studiato con erudita acribia dai filologi di un tempo, e quelli del domani.
Anche in questa direzione muovono insomma gli interessi di chi si occupa della rilevanza del classico, oggi.
Già un classico della musicologia contemporanea quale Il paesaggio sonoro si apre in prima battuta con un primo riferimento alla dicotomia apollineo dionisiaco in sede di presentazione della nascita di una musica dallo spirito classico, tra passione e ragione si gioca tutta una partita che verrà più tardi articolata tra studio della natura del suono e possibilità di espressione del sentimento.
Sull’altra sponda, quella poi della razionalizzazione del materiale musicale, anche Max Weber sarà quasi per urgenza strutturale deciso a riprendere in mano le sorti della musica greca, stavolta comparata alla nascente sensibilità della disciplina etno-musicologica.
Solo per chiudere la triade di possibili riferimenti in grado di dare spessore all’urgenza di considerare nel dibattito sulla cultura antica anche la musica sarà il caso di ricordare come Vincenzo Galilei abbia operato parecchio per la ripresa e la diffusione di una sensibilità nuovamente greca come sarà poi decisiva nel recitar cantando. Sarà dunque il caso ricordarlo, dal momento che spesso la cultura greca viene presentata semplicemente come una versione da svolgere, soprattutto per il discente ginnasiale, sarà opportuno farlo avvicinare alla vita di tutti i giorni per dargli modo di praticarla parimenti giorno per giorno.
In altre parole, non è cantando o facendo costruire strumenti musicali simili a quelli dei greci che si risolve il problema, il punto sarà proprio presentare il carattere problematico della cultura musicale greca e latina. E il lavoro del prof. Maurizio Bettini presente in Voci. Antropologia sonora del mondo antico offre una scialuppa di salvataggio in questo senso.
Nell’introduzione si parte da una visita al museo d’arte contemporanea Madre, in occasione di una mostra non troppo lontana nel tempo (Pompei@Madre. Materia Archeologica) giocata sull’accostamento tra antico e contemporaneo senza dover fare troppo ricorso al mantra della tradizione e dell’innovazione.
Proprio un dipinto, quello in copertina, offre il pretesto per sconfinare dalle immagini evocandone i suoni, o meglio la memoria: perché se l’immagine resta, i suoni vanno via.
Inizia così un percorso tra Svetonio e Petronio, tra Pindaro e san Paolo. In scena ci sono gli animali, irresistibile motivo di confronto per gli uomini prima di razionalizzare in maniera così efficace il proprio rapporto fino a sconfinare nei petselfie. Così scopriamo le affinità tra le voci dell’enciclopedia e le voci degli animali, alla ricerca di tutti gli archivi possibili da interrogare; particolare privilegio è accordato alla ornitologia ma ce n’è per tutti, in questa arca di Noè mancata che, per restare tra pennuti, si gioca tutta negli Uccelli di Aristofane, quella commedia presentata alle Grandi Dionisie del 414 a.C. che mai deve mancare tra i riferimenti in materia, anzi.
Il punto è che spesso nello studio liceale del greco e del latino si sfugge il testo per preferire il paratesto, la nozione è preferita al gioco linguistico e così il pubblico si intrattiene in altro che nello studio, magari nella corsa al sotterfugi perché tanto, senza passare per il testo, qualche dato lo puoi sempre indovinare.
Voci. Antropologia sonora del mondo antico restituisce dignità al rumore di fondo dell’antichità consapevole che solo rapportandosi all’ambiente l’uomo abbia derivato una certa cultura, come vien fuori dalla sua musica senza riuscire bene a spiegarsi perché nonostante la sua temporalità possa ricordare ancora qualcosa di primario: il suono del vento, l’acqua del ruscello, i fulmini e la pioggia.
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