Nel mondo classico la musica greca occupava un ruolo molto importante…
(a cura di Antonio Mastrogiacomo)
Riguardo la musica greca l’esiguità dei dati a disposizione e la stessa difficoltà di interpretarli in modo oggettivo sottolinea il carattere provvisorio di una ricostruzione attendibile.
Ogni riflessione su tale cultura è insidiosa e per sua natura provvisoria, col rischio poi di riflettere il punto di vista del suo osservatore. D’altra parte si tratta anche di una riflessione necessaria se consideriamo che l’antica cultura greca era permeata di musica. E probabilmente nessun altro popolo nella storia ha fatto così tanto riferimento alla musica e all’attività musicale nella sua arte e letteratura.
Nonostante la diversità delle trattazioni, l’idea condivisa riguardo la necessaria imperfezione delle discipline umanistiche, non legate a criteri di veridicità di tipo logico-formale o sperimentale, rappresenta un buon punto di partenza.
La musica greca: una tematica molto difficile
Il tema è praticamente ignorato da quasi tutti coloro che studiano quella cultura o la insegnano; talvolta la sua esistenza sembra essere semplicemente sconosciuta. Il segno più convincente dell’ignoranza dello studioso musicale classico medio sta nella resa equivoca del termine αυλός, strumento a fiato ad ancia, con la definizione generica di flauto. Nei dizionari d’uso comune compare purtroppo spesso lo stesso errore di traduzione del termine αυλός “flauto”.
Bisogna ammettere che per quegli studiosi classici desiderosi di conoscere la musica greca il materiale a disposizione risulta scarso, sporadico e farraginoso. Le trattazioni sull’argomento si presentano fortemente erudite, ma inaccessibili per lo studioso inesperto della materia, messo subito in difficoltà da tetracordi enarmonici disgiunti e chiavi di trasposizione misolidia/ipereolia/iperfrigia, e l’αυλός, termine greco che tradotto letteralmente significherebbe “tubo” o “condotto”, era una canna, munita di fori e di un’imboccatura ad ancia. È difficile stabilire una corretta denominazione per l’αυλός. “Canna ad ancia doppia” sarebbe già meglio seppure tale espressione potrebbe risultare piuttosto ambigua e fuorviante.
Per quanto riguarda le imboccature, queste si dividono in due categorie, generalmente conosciute come ancia semplice e ancia doppia ed in entrambi i tipi la parte battente è completamente racchiusa dalla bocca del suonatore. Nel sistema di classificazione Hornbostel-Sachs questa distinzione tra strumenti ad ancia semplice e ad ancia doppia è fondamentale perché nella prima sono classificati i clarinetti e nella seconda gli oboi.
Se da un lato è vero che la musica greco-romana è stata da sempre relegata in una posizione di marginalità dalla filologia classica, bisogna ammettere dall’altro che una trattazione filologica dell’argomento può risultare rischiosa. Si prendano in esame i rapporti tra filologia ed archeologia: durante il periodo filologico dell’archeologia dell’Ottocento, l’archeologia ha studiato filologicamente non solo le fonti, ma anche il monumento procedendo con lo stesso metodo filologico di quando si cerca di ricostruire il testo attraverso le varie lezioni dei diversi codici. Sebbene le fonti abbiano trasmesso una immagine dell’arte greca fissata su canoni estetici che sono veri solo in parte, perché ci danno conoscenza di un periodo limitato e di un punto di vista determinato, la critica filologica accettò come elemento di giudizio ciò che risultava da esse.
Nel caso della musica il problema è forse di portata ancora maggiore: si può ascoltare la musica greca, la musica dei greci? Impossibile. La musica non resta.
Nel parlare di musica greca, dunque, il rischio di deformare i fatti è certo da tenere presente, ma non per questo lo sforzo di teorizzare deve essere frustrato, impedito o posticipato. La scientificità di ogni teoria risiede per l’appunto nella sua possibilità di essere un giorno contraddetta, falsificata e riorientata.
Senofane di Colofone: «in principio tutti abbiamo appreso da Omero»
Se accogliamo la tesi di Senofane di Colofone secondo cui «in principio tutti abbiamo appreso da Omero», allora sarà opportuno iniziare questa ricognizione da quei passi del poema iliadico che presentano la musica nel contesto bellico. Dal bottino di guerra relativo all’incursione achea contro la città di Tebe Ipoplacia alleata dei Troiani, Achille aveva ricavato uno strumento di grande pregio: una cetra d’argento. Nel libro nono dell’Iliade è narrato del fruttuoso attacco dei troiani contro le truppe dei greci, cui fa seguito la decisione achea di muovere l’attacco al nemico col rientro sul campo di battaglia di Achille che si prepara alla battaglia suonando la cetra e cantando gesta di eroi.
Mossero dunque lungo la riva del mare urlante, molte preghiere volgendo a Ennosígeo, re della terra, che facilmente potessero persuadere il cuor dell’Eacide.
Τὼ δὲ βάτην παρὰ θῖνα πολυφλοίσβοιο θαλάσσης πολλὰ μάλ᾽ εὐχομένω γαιηόχῳ ἐννοσιγαίῳ ῥηϊδίως πεπιθεῖν μεγάλας φρένας Αἰακίδαο.
E giunsero alle tende e alle navi dei Mirmídoni, e lo trovarono che con la cetra sonora si dilettava, bella, ornata; e sopra v’era un ponte d’argento. Questa, distrutta la città di Eezíone, tra il bottino si scelse; si dilettava con essa, cantava glorie d’eroi. Patroclo solo, in silenzio, gli sedeva di faccia, spiando l’Eacide, quando smettesse il canto.
Μυρμιδόνων δ᾽ ἐπί τε κλισίας καὶ νῆας ἱκέσθην, τὸν δ᾽ εὗρον φρένα τερπόμενον φόρμιγγι λιγείῃ καλῇ δαιδαλέῃ, ἐπὶ δ᾽ ἀργύρεον ζυγὸν ἦεν, τὴν ἄρετ᾽ ἐξ ἐνάρων πόλιν Ἠετίωνος ὀλέσσας· τῇ ὅ γε θυμὸν ἔτερπεν, ἄειδε δ᾽ ἄρα κλέα ἀνδρῶν. Πάτροκλος δέ οἱ οἶος ἐναντίος ἧστο σιωπῇ, δέγμενος Αἰακίδην ὁπότε λήξειεν ἀείδων,
Ed essi avanzarono, in testa il glorioso Odisseo, e gli stettero innanzi. Balzò su Achille, sorpreso, con in mano la cetra, lasciando il seggio dove sedeva; e Patroclo, ugualmente, s’alzò come vide gli eroi. Achille piede veloce esclamò allora accogliendoli: «Salute: ecco guerrieri amici che giungono, ecco c’è gran bisogno; questi, se pure sono irato, mi sono carissimi tra gli Achei».
τὼ δὲ βάτην προτέρω, ἡγεῖτο δὲ δῖος Ὀδυσσεύς, στὰν δὲ πρόσθ᾽ αὐτοῖο· ταφὼν δ᾽ ἀνόρουσεν Ἀχιλλεὺς αὐτῇ σὺν φόρμιγγι λιπὼν ἕδος ἔνθα θάασσεν. ὣς δ᾽ αὔτως Πάτροκλος, ἐπεὶ ἴδε φῶτας, ἀνέστη. τὼ καὶ δεικνύμενος προσέφη πόδας ὠκὺς Ἀχιλλεύς· «χαίρετον· ἦ φίλοι ἄνδρες ἱκάνετον ἦ τι μάλα χρεώ, οἵ μοι σκυζομένῳ περ Ἀχαιῶν φίλτατοί ἐστον.»
Iliade IX, vv. 182-198; trad. it. di Rosa Calzecchi Onesti
A partire da questo suggestivo passaggio, in grado di contestualizzare la funzione intimista della musica come preparazione dello spirito in funzione della battaglia, resta opportuno segnalare come altri riferimenti musicali percorrano carsicamente il testo dell’Iliade tutta: il suono di guerra del djembé accompagna la lite fra Achille e Agamennone o l’esibizione di forza dei Greci nel catalogo delle navi, delle mazze di ferro ritmano le cruente battaglie fra i due eserciti, il gong annuncia l’intervento sempre decisivo degli dèi, i campanellini indiani fanno emergere dal mare Teti, la madre di Achille, innalzandola in cielo al cospetto di Giove e la ciotola tibetana evoca il sogno di Agamennone o celebra le esequie funebri di Ettore.
Il caso del peana
Le prime attestazioni del termine “peana” (παιήων) nel significato di “canto in onore di Apollo” si trovano proprio nell’Iliade.
Nel I canto, dopo la restituzione di Criseide, il cui rapimento aveva causato infinite perdite tra gli Achei (di bestiame, ma anche di uomini) per la vendetta di Apollo, Crise e i suoi compagni intonano finalmente il peana, perché Apollo venga a guarire l’esercito decimato dalla peste e salvi tutti i Greci: οἱ δὲ πανημέριοι μολπῇ θεὸν ἱλάσκοντο / καλὸν ἀείδοντες παιήονα κοῦροι Ἀχαιῶν, / μέλποντες ἑκάεργον· ὁ δὲ φρένα τέρπετ’ ἀκούων (Iliade I, vv. 472-474); e, infatti, ai lutti segue ben presto il vento propizio. Nel XXII canto il termine compare invece in bocca ad Achille, che invita gli Achei a cantare un peana per ringraziare il dio dell’avvenuta uccisione di Ettore (νῦν δ’ ἄγ’ ἀείδοντες παιήονα κοῦροι Ἀχαιῶν, IliadeXXII, v. 391), non prima d’aver ricordato la morte del suo caro Patroclo, che mai dimenticherà, neanche quando sarà nell’Ade (Iliade XXII, vv. 386-390). È significativo che già in queste prime manifestazioni letterarie il peana sia posto in stretta relazione con l’ambito funerario e doloroso: è un’espressione di guarigione dal male e dalla paura della morte o di riscatto dal lutto attraverso ulteriori uccisioni; un canto liberatorio che al di sopra dell’evento luttuoso trova il suo spazio di trionfo e di purificazione. Il contesto bellico è dunque adeguato a funzionalizzare l’esecuzione di un peana e la sua ricorsività spiega le ali alla storia trovando diverse applicazioni nel contesto ritualistico elaborato dalla ricorrenza musicale in caso di vittoria: parliamo dunque di una musica adeguata al momento in virtù del suo tempo reale.
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