Atarassia del greco e latino: cosa succede a Princeton
(a cura di Antonio Mastrogiacomo)
Le notizie hanno il raro privilegio di stazionare dove capita, eppure alcune riescono a infiltrarsi più facilmente in determinati ambiti.
Quanto accaduto a Princeton può determinare reazioni anche a chilometri di distanza, non solo fisica ma anche culturale, in qualche liceo di provincia dove il professore, imbattutosi in questa notizia scrollando il suo feed, ha ritenuto opportuno riferire il contenuto ai suoi studenti così da scatenare un dibattito (alcuni professori sanno bene che niente scatena la partecipazione della classe quanto un dibattito, dunque preferiscono lasciare sovente il libro in cartella pur di animare ugualmente quel tempo da trascorrere insieme).
Il greco e il latino sono stati accantonati nella prova d’ingresso così da permettere a una più ampia fetta di popolazione studentesca di partecipare alla selezione. Atarassia del greco e latino…
A tal proposito, l’intervento di una studentessa rimette le cose al suo posto: “POVERI AMERICANI, COSTRETTI PURE LORO A STUDIARE IL GRECO E IL LATINO. ALMENO ABBIAMO LA COLPA DI ESSERE EUROPEI, NOI!” e seguitava “la trovo una scelta equilibrata e democratica, come pertiene alla cultura liberale di questo popolo guida!” – con un sospiro prima di chiudere la frase.
“In effetti, a ben pensarci, presso le nostre facoltà di scienze umanistiche non è necessario essere in possesso di adeguate competenze per iscriversi, ad esempio, tanto a lettere classiche quanto a lingue e culture dell’Europa centro-orientale.” – proseguì Marco, il rappresentante di classe – “Credo che, per quanto il modello americano sia da considerarsi utile, anche il nostro garantisce da secoli questa possibilità!”.
In classe si era acceso il dibattito al punto da proporre immediatamente fazioni: chi era con l’america, chi con l’italia, chi con il greco, chi con il latino, chi sonnecchiava amabilmente sperando di scampare all’interrogazione dell’ora successiva.
Le parti in campo chiarivano come il sistema educativo americano si proponesse competitivo proprio in relazione al percorso di formazione da maturare da un lato, quello europeo permetteva invece una più libera partecipazione al gioco formativo non essendo così gravosa dal punto di vista economico.
In ballo c’era anche la qualità dei servizi nonché il livello della didattica erogata.
Prese la parola il prof. “Vi ringrazio, avete raccolto il pretesto, lo avete innescato eppure siete stati attenti anche nel portarlo a detonazione, restando nel dubbio in merito al valore stesso della pratica educativa; il futuro del greco e del latino è in ballo da così diverse generazioni che ridurne il problema del lascito alla sola sistematizzazione novecentesca operata in seno alla didattica è poca cosa! Eppure, il problema della sua base resta ancora aperto, la selezione interna alla stessa didattica deve essere davvero altra cosa in America piuttosto che qui, dove vi trovate in questo momento. Abbiamo riformato i nostri licei in modo da conservare l’ossatura gentiliana dotandola di più sofisticate chincaglierie definite da una specifica locuzione: così lo scientifico tecnologico si libera del latino per dare più spazio alla vena naturalista che ispira questi studi. Anche da noi si affrontano quotidianamente problemi di tal scorza eppure è questa notizia (“Princeton toglie l’obbligo di studiare greco e latino perché razzisti?”) – il cui titolo è ampiamente definito dalla congerie storica che ne ha definito le coordinate di rappresentazione – a scatenare il vostro dibattito. Se vi avessi chiesto, che ne pensate dell’esistenza dello scientifico tecnologico? Perché hanno tolto il latino e non hanno inserito il greco?”.
Fortunatamente, sopraggiunse la campanella a portare l’intervallo, una di quelle poche cose che mette d’accordo tutti, qualsiasi sia la scuola.