Verba timendi
Non abbiate paura con i verba timendi… nulla da temere!
Proveremo con questa scheda a chiarire in maniera comparativa le differenze tra verba timendi in greco antico e in latino, così da procedere più speditamente in direzione di una buona traduzione.
Verba timendi, una definizione preliminare
Come suggerito dalla stessa formula di “verba timendi”, si tratta di verbi di timore che, come tali, non si ripiegano mai su se stessi ma sono debitori nei confronti di qualcosa di esterno. Ecco perché questa categoria verbale viene fatta solitamente riferire alle proposizioni completive, laddove c’è sempre qualcosa da integrare tra una principale e la sua secondaria per completare appunto quanto solo presentato.
Occorre suggerire uno sguardo comparativo sui metodi attraverso cui è possibile rintracciare diverse costruzioni tra il greco antico e i latino, senza dimenticar di farne un uso corretto anche in italiano aprendosi alle porte del congiuntivo!
Verba timendi in greco antico
Verba timendi sono quei verbi di timore come δείδω, φοβέομαι, προμηθέομαι, che si costruiscono con proposizioni introdotte da
– μή se si teme che accada qualcosa di non voluto
– μή οὐ se si teme che non accada qualcosa di voluto.
I modi utilizzati in dipendenza da verbi di timore sono:
– il congiuntivo che è in dipendenza da tempi principali e storici;
– l’ottativo in dipendenza solo da tempi storici, e indicativo futuro quando è introdotto da ὅπως e ὅπως μή
Come tali, verbi che esprimono timore sono:
φοβοῦμαι
ὀκνέω
δειμαίνω
κίνδυνός ἐστι (“c’è pericolo”)
φόβος ἐστίν (“c’è timore”)
… e in latino
Veniamo ora ai verba timendi in latino. Le proposizioni che dipendono dai verba timendi, cioè i verbi o le locuzione verbali che esprimono timore (i più frequenti sono timeo, metuo, vereor, “ho paura, temo”; timor, pavor est, “c’è timore”; sollicitus, pavidus, sum, “sono ansioso, timoroso…”) hanno il verbo al congiuntivo e i tempi seguono la consecutio.
La particolarità delle completive dipendenti dai verba timendi consiste nel fatto che il connettore positivo “ut” in italiano deve essere tradotto col negativo “che non”, mentre il connettore negativo “ne” deve essere tradotto col positivo “che”.
Qmnis labores te excipere video; timeo ut sustineas. (Cic.)
“Vedo che ti sobbarchi fatiche di ogni genere; temo che tu non regga.”
(Integer testis) timet ne quid iracunde dicat! (Cic.)
“Un testimone imparziale teme di dire qualcosa spinto dall’ira.”
Spessissimo, al posto di ut, troviamo la doppia negazione “ne non”, che dovremo, usando sempre lo stesso criterio, tradurre come negativa:
Plato veritus est ne ipse vindictae modum dispicere non posset. (Val. Max.)
“Platone temette di non poter valutare la giusta misura della punizione”
Molto più schematicamente:
Sono verbi che introducono completive subordinate mediante le congiunzioni
ne ( = che ), per esprimere timore che qualcosa accada
ut / ne non ( = che non ), per esprimere paura che qualcosa non accada.
Utilizzano i quattro tempi del congiuntivo
• Timeo ne = temo che, di
• Timeo ne non (oppure timeo ut) = temo che non, temo di non.