Il latino colloquiale dell’Ispettor Bullone

Il latino colloquiale dell’Ispettor Bullone

(a cura di Antonio Mastrogiacomo)

 

 

Spesso ci capita di sentire espressioni che provengono dal latino colloquiale, perfino nelle didascalie delle foto più impensate su qualsiasi social network: posa da selfie e frase in latino, 100 mi piace!

Nel nostro metodo didattico il lessico ricopre un ruolo fondamentale: conoscere vocaboli in latino o greco, verbi greci, congiunzioni etc può ritornarci molto utile per tradurre una versione.

Proviamo dunque in questa scheda dedicata alle espressioni formulari in latino presenti nel linguaggio più o meno colloquiale in italiano, quello che in altre parole potremmo definire semplicemente un excursus.

Lo studio delle regole grammaticali e l’esercizio della traduzione sono i prerequisiti necessari nello studio del greco e del latino.

Le modalità possono essere le più diverse… Ad esempio “Imparare il latino attraverso i fumetti ?

In questo caso le storie dell’Ispettor Bullone sono divertenti e di immediata comprensione;

Greco e Latino
Greco e Latino
Cerca di imparare le espressioni di latino colloquiale presenti nel testo!!!

Nel tempo l’Ispettore Bullone ne combinerà delle belle! Le sue storie avranno una fine? Chissà… Staremo a vedere…

 

Ecco, siamo partiti!

 

 

PRIMO CAPITOLO – Il latino colloquiale dell’Ispettor Bullone

 

In una caserma italiana l’ispettor Bullone chiede al sospettato di fornire il proprio “alibi”, sarebbe a dire di indicargli dove si trovava al momento dell’omicidio, insomma se si trovava altrove in quel momento proprio perché alibi è detto di chi ha una prova che lo scagiona da un delitto; alla lettera vuol dire proprio “altrove”.
Il sospettato fornisce delle informazioni. L’ispettore appunta queste informazioni su un’ agenda”, un bel caso di perifrastica passiva a partire dal verbo “ago” (caso non dissimile per il verbo “muto”). Dunque l’agenda altro non è che dove segniamo le cose che dobbiamo fare. Mentre l’ispettore registra queste note sulla sua agenda, arriva anche l’indiziato numero due: “Lupus in fabula” – esclama il primo dei due – “adesso proprio stavo facendo il tuo nome all’ispettor Bullone”.
Siamo ancora alle battute iniziali.

 

Costui inizia a fare menzioni dei trascorsi con la vittima, dell’allontanamento dovuto a due modi così diversi di vedere la vita. “Excusatio non petita, accusatio manifesta” – sghignazza il primo sospettato mentre Bullone continua nella sua opera dattilografica pensando tra sé (“non credo che si stia giustificando di qualcosa di cui non può essere accusato così da far rilevare la propria colpevolezza, ha appena dimostrato di non poter essere coinvolto, il secondo sospettato ha davvero un alibi, era a casa a vedere la partita, c’è la sua diretta su fb con gli insulti rivolti al direttore di gara!”)

 

Bullone Bullone, “cava canem”! cioè, stai attento al cane! Qui c’è una brutta aria in giro. Puoi fidarti? sei sicuro? E’ appena arrivato il referto medico: non si tratta di omicidio, bensì un “ictus” ha colpito la contessa, proprio così, quello che nella terminologia medica chiamiamo un colpo, battuta che danneggia i vasi circolari del cervello e che definiamo per semplicità ictus.

 

Ormai è tardi, sei stanco, c’è da tornare a casa e sei per giunta senza auto, l’hai lasciata al carro attrezzi sulla Tuscolana, ti tocca prendere il bus che, come vedi, è proprio per tutti e allora per brevità lo abbiamo chiamato solo bus, togliendo quell’omni” che stava davanti per preferire quell’autobus che rende meglio i termini dell’automazione costante.

 

 

 

SECONDO CAPITOLO – Il latino colloquiale dell’Ispettor Bullone

 

Bullone riapre la sua agenda, edizioni “Dura lex sed lex”, una casa editrice che è riuscita a spuntarla per gli appalti col Ministero dell’Interno grazie ad un nome davvero niente male: la legge è dura, ma è la legge, deve essere stato questo a convincere il capo di stato maggiore dell’urgenza di questa convenzione.

Riprende il cellulare tra le mani per rendersi conto di averlo acceso ma non aver mai inserito il pin, ecco spiegata quell’insolita tranquillità mattutina al telefono rivelatasi proficua nel fare “merenda”, se l’era proprio meritata (in effetti deriverebbe dal verbo latino mereo e la usano anche i più grandi nonostante possa riferirsi esclusivamente ai bambini che fanno merenda a metà giornata perché buoni) dopo aver risolto quel problema con la fotocopiatrice in ufficio: dove aveva fallito il tecnico, era riuscito lui, il nostro Bullone, “è bastato spegnere e riaccendere” – tuona – “e tutto questo l’ho fatto “gratis”, che pur significando nella nostra lingua non a pagamento, dovrebbe etimologicamente significare ‘con favore’ trovandosi in caso ablativo!”

Ma i colleghi erano già andati via quando andava completando la frase: solo un era rimasto lì, giusto perché la fotocopiatrice si trova di fronte ai distributore, cuffie in testa scrolla lo schermo del suo tablet 10” pollici senza soluzione di continuità.

 

Povero Bullone, trattamenti di questo genere lo mandavano in rivolta, proprio a rivoltarsi le “interiora”, a fare di questa condizione un vero e proprio comparativo assoluto! In altre parole, l’ispettor Bullone lamentava un “deficit” emotivo sul posto di lavoro, come se non potesse trovar spazio empatia ma solo l’andare, il camminare e il lavorare, una sorta di “divide et impera” piuttosto nascosto in grado di comandare tacitamente portando la discordia tra gli uomini.

 

Torniamo al caso, apparentemente risolto. Sul bus l’ispettore Bullon ripercorre quel “tot” di elementi raccolti, questa quantità non ben precisata inizia a restringersi intorno a un dettaglio: “Super” – esclama Bullone – “come ho fatto a non pensarci prima: quando il sospettato numero due mi ha mostrato i post su fb avevo notato qualcosa di strano… le squadre in campo sono le stesse ma la partita che mi ha mostrato non è stata disputata quel giorno lì, bensì 3 anni fa, lo ricordo ancora.

Riccardo Trucchi ebbe a scriverne l’indomani dalle colonne del suo profilo esordendo con “Castigat ridendo mores“, col sorriso parla dei costumi corrotti e li corregge in riferimento alla prestazione dell’Anconetana sul Civitanova Marche. Sono stato troppo frettoloso, come quando facevo le versioni di latino!

Bullone torna sui suoi passi, scende dal bus. Non è stato un ictus, ne sono certo la perizia a cura dell’azienda ospedaliera “Cogito ergo sum” è posticcia, in effetti me l’ha consegnata un corriere e non ho avuto modo di confrontarmi col responsabile: “O tempora! O mores!” che tempi e costumi corrotti siamo tenuti a vivere dove finanche il contatto umano tra professionisti è venuto meno.

Prima di tornare in ufficio, l’ispettor Bullone decide di mangiare un boccone, si ferma presso “Panem et Circenses”, un’osteria con prezzi popolari e cucina spartana poco distante. Arriva il proprietario e gli chiede “Repetita iuvant?” (accordandosi al trend del locale, sarebbe il menù del giorno) e Bullone di tutta risposta: “Semel in anno, licet insanire”, portami una bella frittura di gamberi e calamari! Anzi no, due fritture, una volta l’anno è concesso fare pazzie”.
E così, per chiudere questa prima parte, “melius abundare quam deficere” aggiunse il cameriere correggendo la comanda.

 

 

TERZO CAPITOLO – Il latino colloquiale dell’Ispettor Bullone

 

Dopo quella scorpacciata, l’ispettor Bullone fa rientro in ufficio, controlla i dati raccolti: la perizia è falsa, l’alibi fornito pure e la partita falsata, come avrebbe dimostrato il TAR qualche mese più avanti proprio a partire dall’indagine portata avanti dal nostro beniamino.
Ma Bullone raccoglieva anche cattive notizie: aveva dimenticato il badge, misura stabilita in seguito a un “referendum” proposto nella sede locale, dunque quelle ore di straordinario non potevano essere conteggiate, sarebbero state di certo gratis, magari con meno favore.

Ma quando c’è da risolvere il crimine, a cosa mai possono servire i soldini? si chiedeva Bullone subito dopo aver controllato la fattura dell’autofficina, 1350 euro. “Dulcis in fundo” pensò il nostro ispettore mentre si preparava alla terza nottata di fila in ufficio. Niente dolce per lui, vietato dal nutrizionista (non fategli sapere delle due fritture, il nostro Bullone ha troppe gatte da pelare e qualche gioia dovrà pur concedersela). Il nutrizionista lo viene a sapere lo stesso, Bullone era stato taggato nella reaction alle due fritture dal titolare come cliente del giorno, il suo faccione sorridente ha fatto il giro del web e così una whatsappata di quelle caustiche gli consegna il piattino della giornata: “Sunt tecum, quae fugit“, restano sempre di te, e ti seguono ovunque, le cose che vuoi fuggire.

La risposta non si è fatta attendere: “Ubi maior, minor cessat” dove c’è una cosa più grande, la più piccola viene sopraffatta, gentile dottor Spinacini, da oggi non seguirò più la sua dieta, distinti saluti, ispettor Bullone”.

 

C’era da riprendere il filo del discorso, del caso giudiziario, dei sospettati e della vittima.
Bullone si sentiva sopraffatto, la macchina dal meccanico, la fotocopiatrice, il nutrizionista: dall’ora et labora di benedettina memoria, siamo passati all’ora lavora, dove tempo per le preghiere non c’è più e tutto funziona secondo i cardini della comprensione del testo in lingua italiana, a partire dalla velarizzazione della labiale.
Ne voglio scrivere una storia, la chiamerò “Homo homini lupus” l’uomo è un lupo per l’uomo stesso.

A pensarci bene, sebbene il caso sia chiuso, potrebbe riaprirsi da un momento all’altro; anzi, chiudiamolo prima che riesca in giro a far danni. Il caso chiuso è vocativo. Scherziamo!!! Piuttosto è ora di dare il nome ai sospettati, il signor G. e il signor V.
Abbiamo preferito omettere i dati personali perché in passato ci è capitato fare errori ma, come ripetono spesso i più solerti didatti delle lingue classiche, “errare humanum est, perseverare diabolicum” quindi sappiamo bene, in quanto giornalisti pubblicisti, di non dover riportare i dati prima che la giustizia ordinaria abbia fatto il suo corso.

Ebbene, il signor G. e il signor V. sanno il fatto loro, un “do ut des” di responsabilità nel massimo comun divisore del non si fa niente per niente. Così, i loro profili risultano complementari nell’adozione di un modello di ricerca in grado di suffragare l’ipotesi di lavoro del nostro Bullone. Prende un pennarello nero, strappa una pagina dall’agenda, recupera un po’ di scotch e, prima di lasciare di soppiatto l’ufficio col computer acceso e la pagina 533 del televideo aperta, appiccica un cartello sulla porta: non il consueto “torno subito” bensì il più circospetto “Carpe Diem”.

 

 

QUARTO CAPITOLO – Il latino colloquiale dell’Ispettor Bullone

 

Ebbene sì, l’ispettore Bullone aveva deciso di lasciare il banco di prova agli imputati solo per qualche ora, giusto il tempo di andare a controllare di persona i traffici loschi di un’altra generazione di affaristi, i palazzinari di Minecraft, roba da chiedere il pizzo agli altri gamer per dei terreni che stranamente non erano quelli di Ostia.

Lo aveva contattato il figlio del cugino raccogliendo le istanze di buona parte dei facinorosi di via Vittoria Schiamazzi: c’era da intervenire subito, erano quelle condizioni roba da “mors tua, vita mea” con gli affetti in grado di sovrastare qualsiasi ipocondria di turno. C’era da fare un discorsetto a questa infrastruttura andata sedimentandosi nel tempo intorno alla figura dell’esattore, un ragazzo il cui nick sui social era “para bellum”, a riprendere quel famoso motto tale per cui bisognerebbe preparare la guerra per cercare la pace.

Le altre foto avevano didascalie più semplici, tipo “Historia magistra vitae” in occasione del taglio della torta per il 18esimo compleanno e una serie di 743 istantanee con didascalia “in vino veritas”, con tutte le bevute di gruppo archiviate a guadagno della Digos.

“Verba volant, scripta manent ” tuona l’ispettor Bullone una volta riconosciuto l’esattore, che di tutta risposta intima che “a volà saranno i ceffoni, stai attento”.
Bullone non si fa prendere dal panico, chiama rinforzi e in men che non si dica tre pattuglie intervengono; all’esattore sono sottratti 23 lecca-lecca, 4 goleador e diversi quantitativi di zucchero di canna con cui era solito sporcare i tavoli di tutti i bar che non davano il bicchiere d’acqua insieme alla tazza di caffè, un vero eroe dei nostri tempi questo “para bellum”, peccato abbia incontrato sulla sua strada il potentissimo ispettor Bullone che non si lascia piegare da questi tentativi maldestri di rivalersi sui più deboli.

Ormai è tardi, non sappiamo più nemmeno che ore sono.
Giusto il tempo di lasciare il caso irrisolto che Bullone decide di staccare la spina, se ne va al “veni vidi vici” a prendere una buona birra artigianale fatta sulle colline di non si ricorda dove col luppolo trattato nei laboratori di quella università che ogni giorno aggiorna le sue ricerche sui tempi di dilatazione del fegato una volta rilasciata troppa dopamina: pare infatti che la birra possa curare tutto e dunque il locale ha scelto proprio questa massima latina di Cesare per indicare una nuova Gallia da conquistare.

Dopo qualche pinta di troppo, il nostro Bullone va in bagno e trova una scritta sulla porta “Bullone so chi sei, Vox populi, vox Dei“.

Non è il caso di stare in panciolle, c’è da risolvere il caso prima che sia troppo tardi, prima che possa complicarsi di brutto, prima di trovarsi incastrato in meccanismi impensati.

 

 

QUINTO CAPITOLO – Il latino colloquiale dell’Ispettor Bullone

 

Troppa pressione per Bullone. Gli tolsero il caso.
Per lasciargli un’occupazione fu incaricato della gestione del “duplex”, roba che a spiegarlo oggi è intervenuto lo stesso Dracone per riabilitarsi al pubblico giudizio e risparmiare il campo da eventuali legislazioni draconiane in merito alla gestione telefonica contemporanea. Quando gli fu intimata questa mansione: “Bullone, te da oggi stai al duplex”, su un post-it il dirigente Scolastico, capo della squadra mobile, rimediò indicazioni in tal senso facendo riferimento a una serie di film in bianco e nero, roba tipo l’appartamento di Billy Wilder per intenderci. Glielo aveva consigliato suo cugino che, come sapete, è sempre il più informato sui fatti.

Ebbene, ne registrò il funzionamento: due apparecchi telefonici, rispondenti a numeri diversi, ma posti sulla stessa linea. “che trovata” – pensò – “perché affidarmi un “onere” simile?”. Avete letto bene, onere, non onore. Onere, nel senso di peso, figurato. Perché sì, voi non potete vederlo, Bullone nel frattempo aveva perso 3 kilogrammi. Lo diciamo solo per dargli un po’ di fiducia… sulle diete, partiamo sconfitti in partenza. “Se in polizia non dobbiamo risparmiare denaro sul canone telefonico, perché sono stato posizionato al duplex?” si chiedeva il nostro ispettore mentre aspettava uno squillo invano.

Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin, driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin.

Bullone dormiva, un sonno profondo l’aveva avvolto.
Si trovava ora sul luogo del crimine, ancora non riusciva a capire perché gli avessero tolto il caso, lui che più di tutti aveva gli strumenti per risolverlo.

Tutto appariva piuttosto confusionario: certo, nel sogno le immagini sono sfocate, il filo del racconto non è proprio l’ordine della storia però una cosa era chiara. Distingueva una voce, diffusa via etere, scandire una parola in senso di réclame: εὕρηκα, εὕρηκα, εὕρηκα, εὕρηκα. Fortunatamente ci pensiamo noi a trascrivere, Bullone non avrebbe mai immaginato quello che leggendo queste memorie sarebbe stato certamente più chiaro: non capiva niente nei sogni perché i dialoghi erano in greco, la voce diffusa confermava questa ipotesi. Gli corse in soccorso Otto Rehhagel, condottiero in terra di Portogallo, gli suggerì in un italiano un po’ sdentato: “amico miei, vengo fare vacanzien Calabria. Adoro Magna Grecia. Forza Grecia.”

Bullone si destò dal sonno, notò alcune chiamate senza risposta. “Dannazione, mi hanno chiamato con l’anonimo!”. Alzò lo sguardo, prese l’incarto della pita che aveva appena consumato, ricordò di averne consumate diverse in Germania, al tempo della sua vita leggera, comprese finalmente il messaggio onirico: una rimodulazione scomposta delle precedenti 5 ore, rielaborazione della separazione dal caso.

Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin, driiiiiiiiiiiiiiii

Castigat ridendo mores, Bullone”

“Chi parla? Come fai a conoscere il mio nome?”

“Me l’hanno detto dall’altro capo del telefono, è un duplex, ricorda? Mi ha riconosciuto?”

“No, non comprendo cosa voglia da me. Chi mi cerca?

“aaaaaaaaaaahhhh, Bullone, non faccia il solito. Sono il suo meccanico, Romolo! Volevo dirle che quando vuole può passare, le invio via pec la fattura. Buona serata.”

Bullone non ci stava capendo più niente: fu salvato dall’intervento del tenente Colombo, lo stavano passando proprio in quegli istanti in televisione.

 

 

SESTO CAPITOLO – Il latino colloquiale dell’Ispettor Bullone

 

Dopo una settimana di sospensione, Bullone fu riassegnato al caso.
Le indagini erano andate avanti, risultati invariati: tutto era ancora da decifrare. “Manca qualcosa, manca il metodo della ricerca” – intervenne una voce fuoricampo, molto simile a quella dei pokedek: “Metodo, dal lat. methŏdus f., gr. μέϑοδος f., «ricerca, indagine, investigazione», e anche «il modo della ricerca», composto di μετα- che include qui l’idea del perseguire, del tener dietro, e ὁδός «via», quindi, letteralmente «l’andar dietro; via per giungere a un determinato luogo o scopo»”.

“Tutto più chiaro – disse Bullone – devo solo sapere dove andare a parare”.

Questa idea di dotare la forza pubblica di un dizionario mobile poteva guadagnare consensi tra gli agenti in servizio: Bullone sarebbe stato la cavia di questo esperimento culturale, ovviamente a sua insaputa. A veder meglio, aveva acconsentito non solo al trattamento dei dati personali ma proprio della sua persona ai fini dell’elaborazione di dati sensibili: era scritto tutto molto piccolo, bisognava solo barrare. Appunto, questo novello impiego della tecnologia vocale era posta a servizio dell’imperizia lessicale del buon Bullone, costretto a destreggiarsi con l’etimo delle parole dopo aver viaggiato per qualche puntata sul filo del latino ancora oggi in circolo: una sola occasione poteva coronare questo ritorno alle origini, c’era da puntare in alto, c’era da sbrigare il caso.

Dalla nostra parte, abbiamo tutta la pazienza di questo mondo: sappiamo che il caso vuole aggiogare Bullone alla storia, così lasciamo che si dispieghi in tutta la sua improvvida evidenza.

Un momento. Quella frase, “Castigat ridendo mores” l’ho già sentita qualche pagina più dietro, perché torna come un ritornello nelle mie giornate?

Alle volte ci capita di entrare nei pensieri del nostro Bullone senza sapere cosa farcene. Fatto sta che riceve un sms da un tale che si firma Signor G.: “Devo vederla, il signor V. non deve saperlo”.

“Dimentico sempre di segnarmi i numeri di telefono: chi diamine è ‘sto sign. G. e cosa vuole da me, ora!” Dopo due minuti, sobbalza: “AAAAAAAHHHHH, il sign. G, è vero: il caso da risolvere. Me ne ero proprio dimenticato, ora lo chiamo!”.

Il tempo di inoltrare la chiamata, risponde una donna, sconvolta: “l’hai ucciso tu, tu l’hai ucciso”. Bullone non ha il tempo di rispondere che, prelevato dalla forza pubblica, viene portato di forza in caserma: la fortuna ha voluto fosse già “in loco”.

Da accusatore ad accusato, il nostro Bullone deve proprio non aver digerito questi riferimenti alla cultura classica infilati di traverso nel testo, eppure solo rimettendoli in ordine potrà risolvere il caso.

 

 

 

 

(Continua…)

25 Novembre 2021

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