Verso uno studio comparato del greco e del latino

Verso uno studio comparato del greco e del latino

(a cura di Antonio Mastrogiacomo)

 

 

Lo studio comparato del greco e del latino è un aspetto fondamentale, a nostro avviso.
È stato necessario bilanciare la presenza di apparati grammaticali attraverso schede più narrative, orientate come sono a lasciar trasparire quel pizzico di strada percorsa in direzione di una più consapevole maturazione linguistica.

In altre parole, capita spesso di applicare filtri ai nostri ricordi scolastici prima, didattici solo più tardi, al fine di riguadagnare compiutamente lo spettro degli interventi ancora a nostra disposizione per educare una sensibilità unitamente alla ricostruzione dei saperi.

Per questo motivo, stiamo ristrutturando i nostri contenuti in direzione di una più efficacie presa di coscienza sui processi educativi, meno sulle cose da imparare mnemonicamente.

Il problema risiederebbe dunque nel collegare le cose, come lo stesso strumento della traduzione [un iperstrumento a sua volta composto da diversi strumenti da collegare – lessico, funzione logica, composizione della frase] prova tacitamente a insegnare a diverse generazioni di studenti che sanno ridurre piuttosto vocabolari appena acquistati con gran sforzo alla stregua di segrete da consultare pur di rammentare la desinenza giusta, quel costrutto lì, etc etc.

Insomma, saremo abbastanza franchi con voi, ma anche “germani” (in onore di Tacito) e, perché no, “svizzeri”: impostare l’avviamento allo studio comparato del greco e del latino esclusivamente sulla lingua è meno utile di quanto si può pensare se, contestualmente, non sono messi in questione i modelli culturali che ci trasciniamo stancamente più o meno da questo tempo antico.

 

Ci riferiamo alla produzione artistica, teatrale, più diffusamente architettonica, ancora oggi monumento ideale in grado di definire la classicità come qualcosa di alternativo al moderno, più ferroso nei suoi rapporti e nei suoi collegamenti con la storia.

Ecco, far notare come quelle statue che ammiriamo nei musei archeologici siano relativamente diverse da quanto al tempo prodotto significherebbe incuriosire non poco i giovani visitatori di un museo altrimenti fuorviati da una idea piuttosto neo-classica del classico.
Statue policrome, magari addirittura “pacchiane” in maniera non troppo dissimile da quelle portate in processione durante le feste patronali: correremmo il rischio di esagerare nelle semplificazioni, quindi fermiamo il confronto alle sole statue medioevali lignee, opportunamente colorate, così da lasciar fuori altre statue di pari rilevanza, eppure di altro materiale.
Bronzo, legno, pietra e ceramica: diverse fasi della storia dei materiali per le immagini che, magari appiattite sui nostri schermi, testimoniano in maniera poco sufficiente della loro presenza come eredità culturale.

Fare del greco e latino un dato esclusivamente linguistico è un rischio che non vogliamo correre: viene silenziosamente richiesta una sfida alternativa attraverso cui impostare questa relazione culturale e la sola traduzione in italiano non può essere l’unica a farsi carico di questi rapporti.

 

Greco e Latino
Greco e Latino
Basterebbe dedicare alla faccenda uno sguardo sommessamente diacronico per derivare alcune modulazioni sul percorso.

 

Proviamo a farlo nel seguito di questa (poco) appassionante guida  🙂

 

Studio comparato del greco e del latino: in principio era “a memoria”

 

Una non meglio accredita leggenda non troppo metropolitana – potrebbe essermi stata riferita nella sibaritide – propone tale vulgata: gli studenti ginnasiali avevano da imparare a memoria un certo numero di pagine di vocabolario al giorno così da sostituirsi allo stesso vocabolario una volta raggiunta la maturità a mezzo esame di stato, una prova – lo ricordiamo qui – ben diversa da quanto oggi è richiesto dal Ministero della pubblica istruzione.

Spavento, angoscia, rinuncia: fatta menzione di tale sistema ad un gruppo di studenti da poco iscritti ad una scuola che porta ancora la dicitura di “classico”.

Il vocabolario, come poesia da recitare, si metteva alla prova nei panni di un testo sacro da intonare dinanzi al celebrante di turno.

Non deve spaventarci insomma se, non posti limiti alla validità del metodo (che possiamo definire “classico” per antonomasia), possiamo imbatterci in alcune interrogazioni orali che sanno di interrogatorio, accresciute dalla prossimità degli schermi in congiunzione: la didattica a distanza ha conosciuto demeriti, specie nel suo trattamento inconsapevole (per non dire talvolta irresponsabile), eppure ha rimesso al centro problemi educativi sommessamente ridestati da un adeguamento al piano di studi di qualsiasi laureato voglia intraprendere la missione didattica.

Avete mai sentito parlare di 24 cfu? E dei loro rispettivi omologhi, i 24 cfa? Ebbene, di certo docenti che ancora oggi interrogano bendati fanno parte di una generazione che ha messo in primo piano la memoria, il testo e la parola senza dover necessariamente bilanciare questi nessi con la presa di coscienza sulla sensibilità che loro si accompagna.

Notare bene: non è un confronto generazionale meramente anagrafico, piuttosto una strategia per sradicare il classico insegnamento (basato sull’inesattezza, sulla non congruenza) in alternativa didattica.

Più volte abbiamo incoraggiato la compilazione di una rubrica lessicale in grado di porsi non distante dalle stesse finalità ricercate dall’imparare a memoria pagine intere di vocabolario, impreziosito dal valore aggiunto della personalizzazione – a differenza del modello univoco proposto dal rapporto riproduttivo col dizionario.
A quanti fanno notare, piccati, che la benda si usa in odor di interrogazione sul classico, a presagire una congrua competenza della materia in oggetto, ricordiamo come questi metodi possano essere rivendicati da Il Collegio, programma di punta del palinsesto culturale di Rai 2, meno da un docente a stretto contatto con studenti soltanto.

Dunque, lasciamo pure sorprenderci dai nostri studenti, senza rivendicare pressioni: abbiamo in molti assistito alla straziante declamazione, ad esempio, del primo verso della prima egloga del bucolico Virgilio. Con sagacia, solo il poeta anticipa la ricezione dei suoi versi, consapevole com’è della loro principiante musicalità prima di continuare a precipizio, di esametro in esametro, verso la parola bisbigliata, a tratti inaudita.

Sarebbe stimolante uno studio comparato del greco e del latino in tal senso, che misuri l’intensità dell’intonazione iniziale così da porla in confronto al traguardo stesso da raggiungere.
Insomma, basterebbe mettere a capo di questo trattamento sull’autorità del testo in quanto opera il principio stesso della più cieca traiettoria omerica, affidata come era alla tradizione orale di cantore in cantore fino alla definizione testuale in primo luogo, cinematografica non troppi secoli più tardi, coi vari Pitt e Bloom a fare da comparse nel più celebre poema della “vergogna”.

 

 

La storia di Cugino1 e Cugino2

 

Non lontani dalla sibaritide, qualche giorno di pausa prima del rientro in città, una non meglio imprecisata coppia, fratello e sorella, sono intenti a leggere i classici assegnati dai rispettivi docenti per le vacanze: dovranno riassumerne la trama e presentarne i motivi calzanti.

Fin all’avvento della generazione 56k  tale richiesta impegnava oltremodo questi fratello e sorella, ormai cresciuti al punto da tornare in vacanza sempre non lontano dalla sibaritide, sempre qualche giorno, stavolta famiglie a carico: non più fratello e sorella, bensì novelli cuginetti si trovano ad affrontare la stessa richiesta, la lettura dei classici, con due proposte largamente alternative tra loro; Cugino1 ha solo da ricopiare il riassunto che proprio sua mamma aveva prodotto al tempo della richiesta della sua professoressa – poter contare su tale autorevole manoscritto lo sottrae all’imbarazzo del “copia e incolla” a mezzo ricerca informatica, derivando da questa circostanza una non meglio distribuita sensazione chiamata gioia di vivere.

Cugino2 era alle prese con ben altra richiesta: si trattava pur sempre dello stesso classico, eppure gli veniva richiesto di metterlo in scena. Avete sentito bene, la professoressa aveva chiesto a Cugino2, a tutti i suoi compagni di classe, di mettere ciascuno in scena quel classico lì, cioè proprio di dare vita a quei personaggi.

Era stata contestualmente evasiva: “concentratevi su qualsiasi forma – la radio, il teatro, il video e, perché no, scultura, pittura – e datevi da fare: appena rientrati in classe, tutti consegnerete quanto avete prodotto, lo vedremo e lo analizzeremo insieme.

Chiaramente, appena finita questa ricreazione, si torna a fare un po’ di preparazione all’anno che segue, dunque il solito percorso consigliato – possibilmente, senza prendere monopattini elettrici, fermandosi il meno possibile – prontamente evitato.

Cugino2 non ebbe difficoltà a chiedere l’intervento di Cugino1 che, avendo già svolto il suo compito, restava solitamente in spiaggia ad ascoltare musica nelle cuffie, guardare video sul cellulare e bere diversi litri di thè, al limone o pesca purché non al gelsomino.

Cugino1 era proprio contento di mettersi in gioco, perché leggere è bello, ma non è l’unico modo per arrivare alle cose. Ricordò, all’improvviso, le parole di quello zio in comune ad entrambi, della Sibaritide proprio originario, il quale sdoganò il mito del libretto teatrale evidenziando quanto l’azione scenica esulasse dalla parola per farsi più completa – anzi, che proprio la presa di spazio della parola sulla scena contribuì al tramonto del genere al punto da farne qualcosa da leggere esclusivamente.

Insomma, che si legga questi testi trattandoli come un libretto…e poi non si sa nulla della scena, per così dire, messa in scena al tempo, ancora oggi, fa riflettere: che storia volete mai raccontarci? C’è da ridestare il classico dal suo torpore letterario, è questo il punto? Ci siamo vicini, primi di rispondervi ci tocca andare per biblioteche.

 

 

Riavviare il sistema per uno studio comparato del greco e del latino?

 

Vi vediamo, sempre più spazientiti, andare alla ricerca dell’insegnamento e della morale di questa scheda. Avete ragione.

Ci allontaniamo sempre più dall’obiettivo se riportiamo a galla un problema di natura testuale?

Ebbene, impariamo a memoria, poi continuiamo a leggere, ma è davvero possibile che a scrivere siamo davvero incapaci?

Altre volte ci siamo occupati di traduttori digitali impostati a mo’ di sostegno pure di uscir vivi dai problemi con la traduzione di una versione di greco o di latino. Ti consigliamo di leggere “Google translate: sull’utilità e il danno nella traduzione dal greco e dal latino“.

Stavolta, ci chiediamo se non sappiamo riconoscere le parole sul vocabolario perché non le scriviamo mai…oppure: a che serve studiare i verbi oralmente se poi, comunque, nella versione da tradurre stanno scritti in un certo modo (prendete il greco dove tra “crasi” e “crisi” i più assennati rimpiangono il pechenino) e non sappiamo riconoscerli proprio per come stanno scritti?

Ma avranno poi ancora ragione i docenti che ci interrogano soltanto su queste cose, che si limitano esclusivamente a farci fare le versioni come compito in classe piuttosto che entrare un po’ meglio nel merito di queste domande.

A pensarci bene, sui nostri libri di testo l’invito a completare esercizi di tal guisa è stato ricorsivamente motivato: basti pensare a quando siamo alle prese con i completamenti nella lingua inglese (esercizi da svolgere anche per il riconoscimento di una certificazione linguistica!) solitamente assenti in una didattica impostata esclusivamente sulla lettura in lingua e la traduzione in italiano.

Si può eludere tutta questa faccenda in solo due passaggi senza muoversi, diagonalmente, tra le più riprese di una stessa – fantasmagorica – traduzione?

Appunto, non ce ne vogliano i piani di studi, le relazioni dei docenti, le richieste dei dirigenti, le caviglie degli studenti: c’è da riavviare il sistema se davvero si vuole procedere, decisi, all’avviamento nonché allo studio comparato del greco e del latino: lingue mai morte, diciamolo pure senza riserve!

il greco e il latino non sono mai morte perché ancora oggi, per andare avanti, corriamo all’indietro, non tanto per chiederci se stavamo meglio, semplicemente per sapere come eravamo.

Allora si può notare come i libri siano pressoché intatti nei loro esercizi, notare quanto meno si sia maneggiato il singolo lemma per ritrovarlo solo parlante.
Ecco, alla cultura dell’interrogazione orale andrebbe corrisposta una audizione scritta sugli stessi elementi così da chiudere per una buona volta il cerchio cromatico delle varianti, senza sfumature.

Riavviare il sistema per quanto riguarda lo studio comparato del greco e del latino è quanto mai decisivo per limitare i danni, promulgare alternative, avanzare ipotesi di lavoro che non rivendichino valore esclusivamente nella propria abitudinaria recidività.

La recente stagione didattica ha ripreso a fare i conti coi processi educativi per sopperire alla distanza intercorsa tra gli interpreti tutti dell’azione pedagogica portata avanti non solo a scuola, ma pure a casa: ecco, una cosa che non dovremmo dimenticare mai è proprio la continuità da poter registrare tra loro.

Ecco, occorre poter ripartire se urge riavviare il sistema.

4 Marzo 2023

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